icerbox Pastor piazza by Unknown

autore:Unknown
Format: epub
pubblicato: 2019-09-28T16:00:00+00:00

Capitolo VII

Giovedì, 3:57 p.m.

Tornando dall’incontro con il collega, Bora cambiava marcia con meccanica efficienza mentre rifletteva sul da farsi. La salita per la valletta boscosa era una metafora dei nuovi ostacoli che gli si paravano davanti. D’ora in poi avrebbe fatto meglio a parcheggiare la Mercedes in un luogo chiuso, lontano dalla curiosità delle SS. Quanto a lui, avrebbe dovuto semplicemente fare attenzione. Decise che entro la serata Borgonovo si sarebbe trasferito a Casa Brandimarte. Gli avrebbe promesso di risparmiargli la vita; di accompagnarlo in una proprietà ecclesiastica, fuori dall’Abruzzo ancora in mano tedesca; di fare in modo che le lettere arrivassero a suo figlio. Avrebbe mentito pur di assicurarsi il carteggio mussoliniano; dopodiché – come aveva fatto a Roma con la spia della Gestapo – lo avrebbe eliminato. E non c’era tempo da perdere.

Era arrivato a metà strada fra Madonna d’Appari e la ripida cantoniera che portava a Filetto sulla destra. Ghiaia e sassi squittivano e rotolavano sotto le ruote; attraverso lo specchietto retrovisore si scorgeva solo polvere. Coi finestrini abbassati l’aria era meno afosa, ma si mangiava il terriccio volteggiante. Dai boschi e da oltre il Raiale venivano di tanto in tanto i richiami degli uccelli. Dinanzi, all’ennesima curva, un albero morto era punteggiato di gazze che gli donavano una vita fittizia in bianco e nero. Fu notare come le gazze prendevano il volo tutte insieme, ben prima che l’auto arrivasse alla curva, che gli diede da pensare. Fidandosi poco del parabrezza impolverato, Bora diminuì la velocità e si affacciò dal finestrino per vedere meglio.

Forse si sbagliava, forse no: gli parve che dove le gazze erano volate via qualcuno cercasse di attraversare la strada da sinistra a destra, verso il torrente. Piegato in due, correndo, come un cacciatore. No, non si sbagliava. Seguiva una seconda figura, con un fucile o una carabina in spalla. Una terza, avendo preso la stessa direzione, si arrestò di botto – aveva visto o sentito la Mercedes? – e tornò indietro di corsa verso il fianco della montagna.

L’automobile procedeva a passo d’uomo, senza fermarsi. Quelle sagome non indossavano uniformi, o almeno Bora non le riconosceva. La litania che recitò – partigiani, cacciatori, contadini, partigiani, disertori, profughi, evasi, partigiani – aveva la costante «partigiani» nel mezzo. Una spirale di pensieri convulsi gli attraversò la mente: gli idioti che avevano provocato la rappresaglia a Filetto dopo aver ammazzato tre tedeschi. E quelli che gli avevano fatto saltare in aria la camionetta nove mesi prima (schegge metalliche, carne a brandelli, il vetro che esplodeva, la testa dell’autista spappolata al suo fianco, sangue che colava dal soffitto sul sedile anteriore, e i lacerti della sua mano sinistra, maciullata con quel che restava della borsa portacarte che teneva in grembo). Entro pochi secondi sarebbe arrivato alla curva.

Come si perdono a fatica le abitudini aggressive. Anche adesso che doveva badare a non morire prima di portare a termine la missione, il riflesso fu immediato. Bora frenò e scese con la pistola in pugno, sparando verso il torrente per attirare il fuoco e calcolare dove fossero gli avversari.

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